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  LA SCONVOLGENTE TESTIMONIANZA DI UNA EX SUORA DI CLAUSURA PARTE 1

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filippo

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Data d'iscrizione : 27.01.10
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 LA SCONVOLGENTE TESTIMONIANZA DI UNA EX SUORA DI CLAUSURA  PARTE 1  Empty
MessaggioTitolo: LA SCONVOLGENTE TESTIMONIANZA DI UNA EX SUORA DI CLAUSURA PARTE 1     LA SCONVOLGENTE TESTIMONIANZA DI UNA EX SUORA DI CLAUSURA  PARTE 1  EmptyGio Ago 18, 2011 10:49 pm

LA TESTIMONIANZA DI SUORA CHARLOTTE

La testimonianza di Charlotte, ex suora di clausura è sconvolgente
e scioccante, ma fornisce informazioni importanti sul peggio della vita
in convento e sugli svolgimenti della chiesa cattolica romana.
Essa si aggiunge ad altri resoconti come: "Monaca Maria"
e "Il martire in nero: la storia
della vita di Sorella Giustina", e alle testimonianze di ex preti, come:
Chiniquy,

The Priest, the Woman and the Confessional),


(Il Prete, la Donna e la Confessione)
Fresenborg



(Thirty Years in Hell),

(Trenta Anni all’Inferno)

Hogan (Auricular Confession and Popish Nunneries).
(Confessione Auricolare e Conventi Papastici)
La testimonianza dell’ ex suora Charlotte può sembrare incredibile,
se non si conosce la storia della religione cattolica romana

LA TESTIMONIANZA DI SUORA CHARLOTTE

Innanzi tutto vorrei dirvi che non ho odio nel mio cuore verso i credenti della chiesa cattolica romana.
Non potrei essere cristiana se avessi ancora dell'amarezza nel cuore.
Dio mi liberò da ogni amarezza e da ogni lotta in un giorno, diventando con la potenza dello Spirito Santo reale nella mia vita.
Rendo dunque questa testimonianza perché dopo avermi salvata,
Dio mi liberò dal convento, dalla schiavitù e dalle tenebre.

Il Signore mi disse nel cuore di dare questa testimonianza così che
gli altri potessero venire a conoscenza della vita in convento.
Non amo le cose che quelli della chiesa cattolica fanno, e non sono d'accordo con i loro insegnamenti, ma desidero che le loro anime possano ritornare a Gesù.
Io credo che Gesù andò al calvario e morì affinché voi e io potessimo conoscerLo. Le anime dei credenti della chiesa cattolica romana sono preziose proprio quanto la vostra e la mia.

Sono nata e vissuta in una famiglia cattolica, non conoscendo la parola
di Dio perché non avevamo una bibbia in casa nostra e non avevamo
mai sentito parlare del meraviglioso piano di salvezza del Signore.
E così crebbi conoscendo solo il catechismo e gli insegnamenti della chiesa cattolica romana.

Siccome amavo il Signore volevo fare qualcosa per Lui, desideravo dargli la mia vita. Non conoscevo un altro modo mediante il quale una ragazza cattolica potesse dare la sua vita a Dio,
se non quello di entrare in convento, e andare al confessionale dove, naturalmente, si è sotto l'influenza del padre-confessore,
il prete della chiesa cattolica romana.

Sotto la sua influenza e quella di uno dei miei insegnanti della scuola parrocchiale, un giorno, decisi di voler diventare suora.
All'epoca pensavo di diventare una suora dell'ordine libero,
e all'età di sedici anni e mezzo fino al momento di prendere
il velo tutto mi sembrava meraviglioso.
Non avevo nessun timore nel mio cuore.
Tutto ciò che mi era stato insegnato sembrava coincidere con gli insegnamenti che avevo ricevuto in chiesa prima di entrare in convento.

Così un giorno, dopo essermi decisa ad entrare in convento - ricordo quel giorno particolare - due suore, mie insegnanti mi accompagnarono a casa. Arrivata a casa mia, vidi che c’era anche il nostro padre-confessore.
Mi avvicinai a mio padre e gli dissi:
"Papà, voglio entrare in convento".
Le mie parole destarono immediatamente l'interesse del prete,
che già da tempo stava influenzandomi nella scelta.
Mio padre si commosse e cominciò a piangere, non per tristezza,
ma per la grande gioia.

Mia madre venne e mi abbracciò, e anche lei pianse.
Era molto felice. Le sue non erano lacrime di tristezza, perché pensava che la sua bambina stava entrando in convento per pregare per l'umanità perduta. La mia famiglia fu entusiasta della mia decisione.
Entrai in convento dopo un anno dopo che mi ero preparata.

LA SCUOLA DEL CONVENTO

Siccome non c'era un posto nel convento vicino alla casa dei miei genitori, mi mandarono in uno che si trovava a più di mille chilometri da casa. Avevo quasi 13 anni. Ero solo una ragazzina.
Ora, guardando indietro, mi ricordo della nostalgia di casa.
Ne soffrii molto; mia mamma e mio papà erano stati con me tre giorni
e poi se n'erano andati.
Era naturale che soffrissi di nostalgia;
ero solo una bambina lontana da casa.

Da piccola non avevo mai passato una notte lontana da mia mamma,
e non ero mai andata in alcun posto senza la mia famiglia.
C'era un forte legame nella nostra famiglia e io mi sentivo molto sola
e sentivo la loro mancanza.
Ma non dimenticherò mai il momento in cui, dopo che mia mamma
mi aveva salutato avevo pensato nel cuore:
"Non li vedrò mai più!".
Non avevo idea che le cose sarebbero andate così perché avevo deciso di essere una suora normale. Ma, se ascoltate attentamente la mia testimonianza, capirete perché sto dicendo queste cose.

All'età di sette anni andavo al confessionale.
Quando entravo in chiesa, mi inchinavo ai piedi del crocifisso o piuttosto alla vergine Maria e le chiedevo di aiutarmi a fare una buona confessione, perché il mio cuore era sincero.
Il prete ci aveva sempre insegnato a fare una buona confessione e non dovevo nascondere nulla.
Dovevo dire ogni cosa se volevo l'assoluzione da ogni peccato che potevo aver commesso.
Così pregavo la vergine Maria affinché mi aiutasse a fare una buona confessione. Poi, chiedevo lo stesso a Gesù.

Avevo appena finito le scuole medie e mi avevano promesso che dopo aver vissuto in convento avrei avuto un'educazione di scuola superiore
e poi il college.
Ma in realtà ebbi essenzialmente un'educazione di scuola superiore che mi fu impartita sotto delle terribili difficoltà e con molti sforzi.
Fu molto dura, ma mi avevano dato un'istruzione, e lo apprezzo moltissimo.
Dopo l'istruzione dovetti attraversare il periodo cruciale per diventare una giovane iniziata per entrare in convento.
L'addestramento per diventare suora è davvero fuori del comune e ti rendi conto di cosa significa solo dopo che ci sei passata.

La mia vita in convento; voglio dirvi come vivevamo, cosa mangiavamo,
come dormivamo, in modo che possiate avere un quadro dettagliato della
vita in convento.
Quasndfo avevo quattordici anni e mezzo, la madre superiora venne
da me e cominciò a parlarmi del Velo Bianco.
Mi disse che prendendo il velo avrei sarei diventata sposa di Gesù Cristo.
Ci sarebbe stata una cerimonia e sarei stata vestita con abiti nuziali.
E in quella particolare mattinata mi dissero che alle nove in punto
mi avrebbero vestita da sposa. La madre superiora scrisse a mio padre, dicendogli di mandare il denaro per l’abito nunziale.

Mio padre mandava tutto quello che lei chiedeva,.
Un'altra suora andava a comprare la stoffa per l'abito da sposa che poi venita cucito dalle suore del convento.
In questo periodo ero ancora nell'ordine libero.
Vi starete chiedendo se la madre superiora spendeva
tutti i soldi per l'abito da sposa.
In quel momento non lo sapevo, ma dopo aver vissuto in convento
mi resi conto che lei poteva chiedere a mio padre centinaia di dollari
e lui glieli mandava.
Per l'abito, avrebbero speso un terzo dei soldi tenendosi il resto,
senza che mio padre ne sapesse nulla. Non lo sapevo nemmeno io finché, a distanza di tempo, dovetti cucire io stessa alcuni abiti da sposa,
e quindi mi resi conto dell'ammontare dei soldi incamerati perché ero
una delle suore più "anziane".

Percorsi il corridoio vestita con l'abito da sposa e mi soffermavo davanti alle quattordici stazioni della croce – la via crucis, ma dopo essermi decisa a prendere il velo bianco, non feci più quel percorso a piedi.
Volevo essere degna di Gesù. Volevo essere santa per diventare la sposa di Gesù Cristo, così in ginocchio strisciavo davanti alle quattordici stazioni. Il percorso era lungo, ma lo facevo ogni venerdì mattina.
Sentivo che mi avrebbe resa più santa. Sentivo che mi avrebbe avvicinata di più a Dio. Mi avrebbe resa degna del grande passo che stavo per compiere. Ed era ciò che volevo più di ogni altra cosa al mondo.

Vorrei che imprimate bene nel vostro cuore tutto quello che so su ogni
ragazza che entra in convento.
Desidera vivere per Dio. Desidera dare il suo cuore, mente, e anima a Dio. Moltissime persone dicono che solo le donne empie vanno in convento. Non è vero.
Ci sono attrici che vanno in convento dopo avere vissuto peccatrici nel mondo. Ma quando entrano in convento sono donne.
Sanno cosa stanno facendo. La chiesa cattolica romana le fa entrare
in convento perché riceverà da loro, non solo migliaia, ma milioni di dollari. Non importa chi siano le persone che entrano in convento se possono ricavare molti soldi da loro. Ma l’ordinaria ragazza
và lì con purezza di cuore, mente e animo.

Vi chiedo di ascoltarmi con attenzione di quando diventiamo spose
di Gesù Cristo. Le suore, a quel punto, vengono considerate sposate. Dico, sposate con Gesù Cristo. I preti insegnano a ogni ragazza che prende il velo che diventerà sposa di Cristo. Il prete le insegna a credere che i suoi cari saranno salvati e non ha nessuna importanza quante rapine in banca possono aver compiuto o quanti negozi abbiano svaligiato,
se bevono, fumano e gozzovigliano e facendo tutti gli altri peccati peccatori.

La famiglia della giovane sorella - dicono - sarà salvata se lei vivrà sempre in convento e darà la vita al convento o alla chiesa. In questo modo molte bambine sono influenzate e adescate ad entrare in convento.
A volte anche nelle famiglie cattoliche i figli commettono terribili peccati, quindi, ogni ragazza che entra in convento spera che il suo grande sacrificio serva per la salvezza dei suoi amati, del madre e padre.
E, naturalmente, essendo solo delle bambine non sono mature
abbastanza da rendersi conto di ciò che veramente viene loro insegnato.

È così facile instillare idee nei loro cuori e nelle loro menti, e i preti
sono dei veri maestri in questo. In quanto al mio prete, il nostro
padre-confessore, lo consideravo come Dio. Il prete era il solo dio di cui
sapevo qualcosa, e ai miei occhi era infallibile. Non pensavo che potesse
peccare. Non pensavo che mentisse. Non pensavo che avesse mai sbagliato. Lo vedevo come il più santo dei santi perché non conoscevo Dio, ma conoscevo

il prete cattolico romano, e mi rivolgevo a lui per tutto quello che chiedevo
a Dio. Credevo che il prete potesse darmi queste cose.

E così venne il giorno in cui tutte noi, dopo aver preso il velo bianco
(vi prego di ascoltare attentamente) consideravamo ogni cosa meravigliosa.
Avevo 16 anni e mezzo.
Tutti erano buoni con me, vivevo
nel convento e non avevo ancora visto niente perché nessuna ragazza
è soggetta al prete cattolico prima dei 21 anni.
Il nuovo voto viene tenuto nascosto fino a che non abbiano preso il velo nero, e poi è troppo tardi. Non si ha la chiave delle doppie porte,
e non c'è modo di uscire.

I preti cattolici in tutti i paesi dicono che le suore, possono uscire dai conventi quando vogliono. Io ho passato 22 anni lì dentro.
Ho tentato in mille modi di uscire. Ho scavato la terra nei sotterranei con cucchiai, perché non c'è pavimentazione in quei
posti, ma non sono mai riuscita a uscire dal convento.
Quando usavamo le vanghe per dei lavori pesanti che dovevamo fare, eravamo tenute d'occhio da due suore anziane affinché non usassimo quelle vanghe per scavare una via d'uscita.

E comunque non saremmo andate molto lontane perché i conventi sono costruiti in modo tale che
le suore NON possano scappare.
Questo è l'obiettivo che si sono prefissi nel costruirli, e non c'è alcuna
via d'uscita se Dio non ne crea una. Ma credo che Dio stia preparando
una strada per molte ragazze che riescono ad uscire dal convento.

UN NUOVO TIPO DI VOTO

Avevo 18 anni quando la madre superiora cominciò a parlarmi - desiderai di vedere oltre il mio velo bianco.
Volevo essere una suora infermiera per la chiesa cattolica romana.
Un giorno mi chiamò nel suo ufficio: "Charlotte, hai un corpo vigoroso. Credo che tu abbia buone possibilità di diventare una buona suora,
una suora di clausura.
Credo che tu sia il tipo di persona che è disposta
ad abbandonare la propria casa, madre, padre, tutti quelli che ami nel mondo e il mondo intero (per così dire) e nasconderti dietro
le porte del convento, perché credo che tu sia il tipo che vuole sacrificarsi a vivere in estrema povertà in modo da poter pregare per l'umanità perduta".

"Credo che tu sia il tipo di persona disposta a soffrire".

Il prete ci insegnava a credere che i nostri amati che sono già in purgatorio saranno liberati prima grazie alle nostre sofferenze.
La madre superiore sapeva già che io ero disposta a questo.
Non mormoravo.
Non mi lamentavo.
Lei sapeva tutto ciò e osservava la mia vita,
e per questo motivo cominciò a parlarmi del velo nero.
E ovviamente, io non sapevo molto sulle monache di clausura.
Non conoscevo la loro vita. Non sapevo dove vivevano.
Non sapevo cosa fanno.
Oggi giorno, viaggio molto, e sento dire da tanti cattolici:

"Sono stato in tanti conventi, so tutto di loro".
Non sapete che i cattolici sono autorizzati a mentire senza dover confessare la bugia, quando si tratta di una menzogna detta per proteggere la loro fede?
Essi possono raccontarvi qualunque bugia per proteggere la loro fede
e non dover per questo andare mai al confessionale.

E possono fare di peggio. Possono anche rubare fino a 40 dollari senza doverlo dire al prete. Non sono tenuti a confessare il loro furto.
Questo è ciò che viene loro insegnato.
Ogni cattolico lo sa, e sareste inorriditi se sapeste quanti di loro fanno queste cose. Ho avuto a che fare con centinaia e centinaia di loro.
Poi li ho visti gettarsi davanti all'altare
e implorare Dio di salvarli.
Quando Dio convince il loro cuore, allora vogliono ritornare a Lui.
La cosa più triste è che i credenti cattolici non possono conoscere Dio perché Dio non condona il peccato.

La madre superiora mi disse: "Charlotte, devi essere disposta a versare
il tuo sangue come Gesù sul calvario. Devi essere pronta a fare penitenza, molta penitenza. Devi essere disposta a vivere in grande povertà".

Stavo già vivendo in povertà, ma pensavo che quello che mi stava
proponendo mi avrebbe resa più santa, avvicinata a Dio e sarei diventata una suora migliore.
E così fui disposta a vivere in quel tipo di povertà.
Quella stessa mattina, la madre superiora mi disse cosa avrei dovuto indossare e mi disse: "Passerai nove ore in una bara",
e mi spiegò diverse cose. Questo era tutto ciò che sapevo e non lo vidi
in pratica fino a quando non presi il velo bianco.

Avevo 21 anni. Ma 60 giorni prima di aver compiuto 21 anni,
dovetti firmare alcuni documenti: dovevo attestare
di rinunciare a qualsiasi eredità dopo la morte della mia famiglia e dare tutto alla chiesa cattolica romana.
Generalmente i preti della chiesa cattolica romana adescano le ragazze non per la loro formazione, vigore, intelligenza, forte volontà,
ma quelle i cui genitori sono ricchi.
Perché?
Perché quando la giovane entra in convento,
essi si prendono tutti i suoi soldi.

Quella stessa mattina stessa dissi alla madre superiora:
"Vorrei prendermi del tempo per pensarci sopra".
Dopo un paio d'anni un giorno andai da lei e dissi:
"Desidero nascondermi dietro le porte del convento perché credo che così potrei dedicarmi di più a Dio.
Potrei pregare di più".

NOVE ORA IN UNA BARA

Credevo di essere in grado di potermi infliggere più dolore perché
ci insegnavano a credere che Dio ci sorride dal cielo quando soffriamo
e facciamo delle penitenze.
E io pensavo che fosse vero.
Spesso dico: "Se solo guardi nel cuore di quelle piccole suore,
se veramente sei cristiano griderai immediatamente a Dio di salvarle".
Ai miei occhi sono pagane.
Non ha nessuna importanza l’educazione ricevuta, sono ancora pagane. Non conoscono nulla di Cristo, non sanno niente della salvezza.
E vivono come eremiti nel loro convento.

Quella mattina percorsi nuovamente il corridoio... Sebbene non possa mai sufficientemente entrare in dettagli da farvi capire appieno la situazione, quella mattina percorrevo il corridoio,
ma stavolta non avevo l'abito da sposa.
Avevo un velo da funerale.
Era fatto di velluto rosso scuro, lungo fino a terra.
Camminavo, e sapevo quello che stavo facendo.
La bara era già stata costruita dalle suore del convento usando
delle tavole molto rozze.

Si trovava proprio lì e sapevo che avrei dovuto
entrarci, stendermi lì dentro e restarci per nove ore.
Due piccole suore mi coprirono con un pesante drappo nero talmente spesso da farmi quasi soffocare a morte.
E io dovevo restare lì.
Sapevo che quando sarei uscita dalla bara non avrei potuto mai più lasciare il convento.
Non avrei mai più visto mia madre e mio padre.
Non sarei mai più potuta andare a casa.

Avrei dovuto vivere per sempre dietro le porte del convento
e quando sarei morta mi avrebbero sepolto lì.
Me lo avevano detto prima, quindi sapevo a cosa andavo incontro.
È un gran prezzo da pagare, solo per scoprire poi che i conventi non sono ordini religiosi come ci avevano insegnato durante
l'addestramento.

È una vera delusione per una giovane che ha desiderato di dare la sua vita a Dio, ed è stata pronta a lasciare ogni cosa
e a sacrificare così tanto. Vi assicuro, fu una vera delusione.
Così passai nove ore lì dentro.
Vi chiederete: "Cosa hai fatto mentre giacevi in quella bara?"

RICORDANDO CASA

Cosa pensate che abbia fatto?
Versato tutte le lacrime che avevo.
Per quale motivo?
Per amore di Dio, credevo e sapevo.
Vi assicuro che furono nove lunghe ore.
Riuscii a farmi animo pensando: "Charlotte, diventerai una delle migliori suore carmelitane!" Per tutto quello che ho fatto,
anche ora che non sono più in convento, cerco di dare
il meglio di me.
Cerco ogni cosa amorevole che mia mamma aveva fatto per me.

Ho ricordato la sua voce.
Ho ricordato quando ci riunivamo attorno al tavolo.
Ho ricordato le volte in cui lei pregava con noi.
Ho ricordato le cose che mi diceva.
Ho ricordato che cuoca meravigliosa era.

Ricordai tutto ciò che avevo fatto a casa.
Giacendo in quella bara, sapendo che non avrei mai più ascoltato
la sua voce e non avrei mai più visto il suo volto.
Non avrei mai più goduto i bei momenti insieme a lei.
Passai quelle ore versando tutte le lacrime che avevo per il dolore
e la nostalgia.
Quanto avrei voluto rivedere mia mamma un giorno,
ma avevo acconsentito a rinunciare. In convento davo il meglio
di me stessa. Volevo essere la migliore suora.
La madre superiora lo sapeva e, siatene certi,
lo sapevano bene anche i preti.

FIRMA CON IL SANGUE

Mi resi conto che, una volta uscita dalla bara, mi avrebbero messa
in una stanza lì vicino. La chiamavamo la stanza della madre superiora.
Non ero mai stata lì, quindi non sapevo cosa contenesse.
Ma quando vi entrai, la madre superiora mi fece sedere
su una sedia dura, schiena diritta e dovetti fare immediatamente
i voti di povertà, castità, e ubbidienza.
Mentre facevo i voti, mi forò il lobo di un orecchio per prelevarmi il sangue, con il quale avrei dovuto firmare i tre voti.

Il voto di povertà consisteva nel vivere in estrema povertà per tutta
la mia vita. Noi suore iniziate non sapevamo com'era quella povertà.
Il voto della castità, immagino che sappiate cosa significa.
Mi era stato insegnato a credere che ero sposata a Gesù Cristo.
Ero sua moglie.

Avrei dovuto rimanere per sempre vergine.
Non mi sarei mai dovuta più sposare legalmente in questo mondo perché ero diventata la sposa di Gesù Cristo. Dopo che il vescovo mi ebbe sposata a Cristo, mi mise l'anello al dito come sigillo dell'unione con Cristo. Ero sposata, e lo accettavo perché così mi era stato insegnato.
Vi prego di ascoltarmi con attenzione.
Era giunto il momento del mio ultimo voto, quello dell'obbedienza. Firmando quel voto, vi assicuro che sapevamo già cosa significava ubbidienza assoluta.

Dunque, cosa significava accettare quei voti in quel modo?
Ve lo spiego, perché la maggior parte delle persone sanno ben poco sull'ubbidienza.
Vi assicuro che non saprete mai cosa significa ubbidienza per una suora, se voi stessi non vivete in convento.
Quel voto in particolare e con le firme col mio stesso sangue avevo appena rinunciato a tutto quello che avevo: i miei diritti umani.

Ero diventata un essere umano robot. Non potevo sedermi se loro non
me lo dicevano.
Non dovevo osare alzarmi se loro non me lo permettevano.
Non potevo stendermi se non me lo dicevano loro.
Non potevo mangiare finché non me lo dicevano loro.
E se vedevo qualcosa, non l'avevo visto.
Se sentivo qualcosa, non l'avevo sentito.
Se provavo qualcosa, non l'avevo provato.
Ero un burattino nelle loro mani, ma non me ne resi conto prima di aver firmato quei tre voti. Allora realizzai: "Di essere un robot".
Naturalmente appartenevo ora a Roma, era fin troppo chiaro.

Dopo quei voti diventavamo donne dimenticate nel convento.
Tra pochissimo capirete di cosa sto parlando.
Subito dopo i voti, la madre superiora mi diede - anzi, mi tolse il mio nome e mi diede quello di un santo patrono.
Mi insegnò a credere che qualunque cosa mi sarebbe accaduta nel convento, avrei potuto rivolgere le mie preghiere a quella santa e lei avrebbe interceduto portando le mie preghiere a Dio, perché io non
ero abbastanza santa per stare alla presenza di Dio.

Non c'è da meravigliarsi che le care piccole suore non possano mai avvicinarsi abbastanza a Dio.
Ci insegnavano sempre che non eravamo abbastanza sante per stare
alla Sua presenza e dovevamo passare tramite qualche santo per far arrivare la nostra preghiera a Dio.
E noi gli credevamo perché non sapevamo come stavano realmente
le cose. Ogni riferimento a chi fosse Charlotte era sparito.
Se qualcuno fosse venuto al convento e chiesto di Charlotte,
vi avrebbero detto che non c'era nessuno lì con quel nome.
Per la chiesa cattolica romana non esisto più, anche se sono qui proprio ora, perché sto scrivendo sotto uno pseudonimo.

La madre superiora mi tagliò i capelli con la macchinetta. Intendo dire
che ero completamente rasata. Non avevo più capelli in testa.
Ora capite per quale motivo esse portano quei pesanti copricapi
in testa - perché è scomodo prendersi cura dei capelli.
Non esistono pettini in convento.
Questo era il mio velo nero, i miei voti perpetui.
Ero lì e sarei rimasta lì.

Fino a quel periodo, una volta al mese ricevevo una lettera dalla mia famiglia e rispondevo, sebbene sapevo bene che avrebbero cancellato gran parte della mia lettera: Infatti, tutte le lettere della mia famiglia erano state talmente coperte di nero da rendere le parole incomprensibili,
e io piangevo addolorata per le cancellazioni.
Mi chiedevo cosa stesse cercando di dirmi mia madre, ma non avrei mai potuto saperlo a causa della censura. In questo ti spezzavano il cuore molte, moltissime volte e ti sentivi sola perché non avevi amici in convento.

Nessuna suora era mia amica e né potevo esserlo io, perché in convento non eravamo autorizzate ad essere amiche.
Eravamo tutti come poliziotti sorvegliandoci a vicenda. La suora che
ha qualcosa da dire su un’altra suora, viene guardata di buon occhio dalla madre superiora.
La madre superiora insegna alla suora che quando è ben vista da lei,
è ben vista da Dio. Ovviamente, la suora vuole essere in quello stato
di grazia e comincia a dire tante cose, anche non vere,
sulle sue consorelle.

Ogni cosa che avevo mi era stata tolta. Avevo, per così dire, venduto
la mia anima per quel caos di minestrone teologico.
Noi suore non eravamo distrutte solo nei nostri corpi, ma molte di noi anche nella mente.
E per molte di noi, morire in convento significava aver perso l'anima.
È una situazione così seria che vi supplico di pregare per quelle suore recluse dietro le porte dei conventi.

Non hanno mai ascoltato il Vangelo.
Non hanno mai conosciuto il Cristo che voi credenti conoscete.
Non lo pregheranno mai come voi lo pregate.
Non sentiranno mai la Sua benedizione come voi la sentite.
E per questo, ricordatele nei vostri cuori e pregate Iddio per loro.
Hanno un grande bisogno delle vostre preghiere.

UN ASSALTO OLTRAGGIOSO

Dunque, dopo aver preso i voti, non sapevo cosa sarebbe accaduto nell'altra stanza. Avevo preso il voto di castità, e che non dovevo più sposarmi, perché ero la sposa di Cristo.
La madre superiora mi condusse in un'altra stanza,
anzi, aprì la porta e mi disse di entrare.
E lì, vidi qualcosa che non avevo mai visto prima.
Un prete della chiesa cattolica romana in abiti sacri.
Si diresse verso di me e mi bloccò un braccio con il suo braccio,
cosa che non aveva mai fatto durante la prima parte della mia vita
in convento.

Non ero mai stata insultata da un prete in alcun modo.
Non erano mai stati neppure sgarbati con me nel primo periodo
in convento.
Ma ora era qui, e non capivo cosa intendesse fare
e non sapevo che cosa volesse da me.
Allora, tirai indietro il mio braccio perché mi sentii enormemente
insultata, e gli dissi: "Si vergogni!"

Ciò lo rese molto adirato per un minuto, dopodiché la madre superiora dovendo aver sentito la mia voce entrò
e disse: "Oh", (e mi chiamò con il mio nome da suora),
"dopo che sarai stata per un po' nel convento non la penserai più così.
Tutte noi facevamo come te all'inizio, ma sai, il corpo del prete
è santificato, e quindi non è peccato donare ai preti i nostri corpi".

In altre parole, insegnano a ogni suora che come lo Spirito Santo fece nascere Gesù Cristo dal grembo di Maria, così il prete essendo lo Spirito Santo non è un peccato portare in grembo i suoi figli.
E, consentitemi di dirvelo, è proprio per questo che sono entrati
in convento.
I preti entrano in convento per violare queste preziose ragazze derubandole della loro virtù.

Non c'era modo di tornare indietro. Non potevo uscire dal convento nonostante le mie suppliche. Oh, quando implorai quel prete!
"Mandate a chiamare mio padre, voglio tornare a casa! Non voglio andare oltre". Ed è allora che ti accorgi di essere sola. Non sai a chi rivolgerti
e vivrai nel convento perché non c'è modo di uscire.
Vi assicuro che se Dio non avesse provveduto una via per farmi uscire
da lì, sarei rimasta in quel convento.

La mia corrispondenza fu interrotta.
Non mi fecero più avere la lettere della mia famiglia.
Neppure una. Appartenevo al Papa.
Appartenevo a Roma.
E allora, dopo tutto questo, la madre superiora e i voti, il prete mi invitò
ad andare nella camera delle nozze.
Direte: "Ci sei andata?"
No.
Decisamente no.

Non ero entrata in convento per essere una prostituta.
Sarebbe stato molto più facile vivere fuori dal convento
se volevo essere una donna di facili costumi.
Non avevo preso il velo, vissuta in povertà e avevo subito
e sofferto per poi essere una donna empia.

Nessuna ragazza lo farebbe; sarebbe più facile stare fuori dal
convento e vivere da peccatrice, ma ero andata lì per dare la mia vita
e il mio cuore a Dio e quello era l'unico scopo.
Ed ora ecco il prete, e ovviamente io non andai nella camera con lui. Avevo un corpo vigoroso allora. Uno di noi due si sarebbe fatto male perché avrei combattuto all'ultimo sangue. Comunque si adirarono moltissimo perché non avevo acconsentito a concedere il mio corpo al prete.

Dovere funebre, una regola infranta, quindi punizione nelle segrete stanze.
Dovevo fare penitenza e sarebbe stata molto dura a causa di quello che avevo fatto.
Quando il mattino seguente, la madre superiora disse: "Andiamo a fare penitenza", stavo ricevendo l'iniziazione come suora carmelitana.
Ricordo quando mi fece scendere in un luogo buio.
Ricordo che prima del velo nero ero vissuta al primo piano.
Dopo il velo nero, mi fecero andare a vivere al piano sottoterra.
E vissi lì, nel sottosuolo, finché Dio non mi liberò.

Il luogo buio era molto freddo e tenebroso.
Procedevamo accanto alla madre superiora, finché vedemmo delle piccole candele accese.
Ovunque nel convento si trovavano sette candele accese.
Vedendo le candele mi chiesi: "Cosa vuole farmi?"
I nostri cuori tremavano dalla paura.

Poi vidi qualcosa su una tavola. Non potete immaginare la sorpresa quando mi accorsi che si trattava di una giovane suora.
Le fiamme delle candele proiettavano una luce tremolante sul suo volto:
"Questa ragazza è morta!"
Quanto volevo chiedere, "Com'è morta?
Perché è qui?
Da quanto tempo la tenete qui sotto?"

Ma, come ricorderete, avevo rinunciato a ogni
diritto umano e così non potevo dire una sola parola,
solamente a guardare.
La madre superiora mi disse: "Veglia su questo cadavere per un'ora". Dopo un’ora una piccola campanella suonava e un'altra suora veniva
a prendere il mio posto. Mi era stato detto di camminare ogni tanto davanti a quel piccolo corpo spruzzando acqua santa e cenere dicendo:
"Pace a te". E io feci esattamente così.

Oh, fu una sensazione terribile! Non ho paura dei
morti. È dei vivi che bisogna guardarsi.
Non avevo paura della suora morta, ma, oh, quanto soffriva il mio cuore per lei! E la suora venuta
a sostituirmi giunse in punta di piedi.
Nessun rumore è consentito
in convento, e nessuno parla.
Ero piena di terrore.
Quando la suora
mi toccò la spalla, lanciai un grido, un terribile grido di paura, pura paura.
Non volevo farlo.
Non infransi le regole volontariamente, ero soltanto spaventata.

Immediatamente, dovetti seguire la madre superiora e fu allora che venni
a conoscenza per la prima volta delle segrete prigioni sotterranee.
Non mi avevano detto che esistevano delle segrete prigioni sotterranee
nei sotterranei del convento.
Rimasi in quel luogo sporco e buio senza pavimentazione per tre giorni
e notti senza cibo né acqua, e vi assicuro che non gridai più.
Cercai con tutte le mie forze di non infrangere più
le regole, perché sapevo che c'erano le prigioni sotterranee,
e non volevo finirci. Non era affatto un bel posto.
Solo dopo che ci sei stata puoi capire che cosa significhi esserci rinchiusa.

Prima di continuare voglio dire: il Papato è il capolavoro
di Satana. È il capolavoro di Satana con le sue meraviglie false,
le sue tradizioni e i suoi inganni. È una cosa orribile quando
si viene a conoscenza.

Mi disse di nuovo: "Charlotte, dovrai fare penitenza" (non il mattino successivo, ma dopo i tre giorni e notti nei sotterranei). Così il quarto,
il quinto mattino mi diceva sempre: "Dovrai fare penitenza".

Mi condusse giù in un'altra stanza; non la stessa. Questa volta vidi
un grande pezzo di legno ma non sapevo cosa fosse, ma guardandola
da vicino mi accorsi che era una croce, fatta di legno massiccio,
alta approssimativamente tra i due metri e mezzo e i tre metri, molto pesante. Era appoggiata su un piano inclinato.
La madre superiora mi fece andare ai piedi della croce e poi mi disse:
"Ora spogliati".
Mi spogliai fino alla vita.

Poi mi fece piegare il corpo sulla parte bassa della croce,
mi tirò le mani sotto la croce e le legò ai miei piedi.
Era lì che avrei dovuto versare il mio sangue.
Lei non mi aveva detto come, né io potevo chiederglielo.
La madre superiora diede alle due suore che erano venute con lei una frusta da flagellazione, fatta di una lunga pertica di bambù alla quale
erano attaccate sei lunghe cinghie.

Alla fine di ogni cinghia c’era attaccato un pezzo di metallo affilato.
Le due suore piazzandosi ai due lati della croce incominciarono a fustigarmi. Quando il metallo colpiva il mio corpo portava via la pelle
e la carne e abbondante sangue scorreva giù a terra.
Questa era la mia flagellazione, dove avrei versato il sangue come
Gesù al calvario.
Che dolore!

Dopo la fustigazione, non mi lavarono. Mi rimisero addosso gli abiti
e mi fecero andare a riposare. Oh, non potei dormire quella notte!
Non ero riuscita a togliermi da dosso i vestiti che si erano attaccati
alle ferite e fu terribile.
Non potei toglierli per diverse notti. Vi assicuro che all'ora di mangiare
non riuscivo a prendere la tazza di caffè.

NOVE GIORNI DI PENITENZA

Al mattino ci davano una tazza di caffè nero e non potevamo avere
né latte né zucchero, ma ci davano un pezzo di pane, fatto dalle suore
del convento. Lo pesavano loro, quattro once (113 grammi).
Questo è tutto quello che ci davano per colazione.
Nel pomeriggio, ci davano una scodella di minestra di vegetali cotti,
senza nessun condimento, e mezzo pane.

Tre volte alla settimana ci davano mezzo bicchiere di latte scremato. Questa era la nostra alimentazione per 365 giorni all'anno. Inominciai
a perdere peso molto rapidamente, perché non avevo abbastanza cibo
da mangiare. Non conoscevo un giorno che non andavo a letto con
lo stomaco vuoto. A volte non riuscivo a dormire per la fame.

E dovevamo lavorare duramente tutto il giorno. Vi imploro di pregare per
le suore di clausura, hanno molto bisogno delle vostre preghiere.
Questa notte andrete a dormire con lo stomaco pieno, ma pensate a loro. Sono affamate, malate, ferite, e angosciate, afflitte, soffrono di nostalgia, scoraggiate e nessuna speranza. Nessuna speranza.
Voi e io aspettiamo il giorno in cui vedremo Gesù. Ma loro non hanno alcuna speranza e spero ardentemente che non dimenticate di pregare
per loro. Era terribile, ve lo assicuro.

Dopo qualche giorno, la madre superiora mi prese con sé per un'altra iniziazione. Avevamo attraversato un tunnel, poi arrivammo in una stanza
e superammo una ringhiera.
Vidi le solite candele accese e delle corde pendenti dal soffitto.
Oh, come ero spaventata! Dopo le altre due penitenze, incominciava
ad avere molta paura. Cosa servivano quelle corde appese al soffitto?

La madre superiora mi disse: "Mettiti contro quel muro".
Feci come mi aveva detto.
Poi mi disse di alzare i pollici e tirò una corda alle quale era attaccata saldamente una fascia di metallo che lei ebbe cura di chiudere
attorno all'articolazione di un pollice.
Poi tirò un'altra corda e allo stesso modo l’attaccò all'altro pollice.
Mi stava tirando su, e quando rimasi in punta di piedi,
quando solo le dita dei miei piedi potevano toccare il terreno,
si fermò.

Ero lì, appesa.
Tutto il peso del mio corpo gravava sui miei pollici legati alle corde
e sulle dita dei miei piedi. Non dovevo dire una parola.
Nessuno fiatava.
Lei uscì dalla stanza e chiuse a chiave la porta.
Sapete cosa significa essere in quel modo e sentire chiudere
a chiave la porta?
Solo una suora può saperlo.
E non sapevo quanto a lungo sarei rimasta lì, per quanto tempo mi avrebbe lasciato in quelle condizioni.
Nessuno venne a darmi del cibo.
Non mi portarono acqua.
E io pensai: "È così? Morirò così, qui dentro?".

Nel giro di qualche ora i miei muscoli cominciarono a farmi un male lancinante. Stavo soffrendo. E quella donna mi lasciava appesa.
Nessuno si avvicinava.
A che mi sarebbe servito gridare?
Potevo versare tutte le lacrime che avevo in corpo.
Nessuno poteva sentirmi.
A nessuno importava quante lacrime versavo.
Ero sola appesa lì.
"Morirò senz'altro", pensai, "se non vengono a prendermi
e a portarmi fuori di qui in fretta!".
E mi sentii come se stessi gonfiandomi.

Non so quanto tempo passò prima che la madre superiora
aprisse la porta e mi fece dare da mangiare delle patate,
che però non erano più commestibili, e da bere dell’acqua
messo su uno scaffale lungo il muro.

Come avrei dovuto fare a prendere quel cibo?
La madre superiora non mi aveva liberato le mani.
Ma questa era la lezione che dovevo imparare.
Avevo fame e così assetata che mi sembrava di impazzire.
Mi accorsi che alzando una mano e la relativa corda,
l'altra scendeva un po'.
E se riuscivo a piegarmi, l'altra corda saliva.

Per prendere un po' d'acqua e cibo dovetti fare come i cani
e i gatti. Bevvi leccando l'acqua più che potevo.
E per prendere le patate? Mi sforzai il più possibile
di raggiungerle perché ero affamata.
Intendo affamata davvero!
E mangiai tutto quello che riuscii a raggiungere.
Ma ero ancora affamata.

Mi diedero da mangiare in questo modo per i nove giorni che
mi lasciarono appesa.
Restai appesa in quella posizione per tutto quel tempo
e a un certo punto cominciai a gonfiarmi.
Mi sembrava che gli occhi mi stessero uscendo dalle orbite,
le braccia si fossero staccate. Vedevo che le braccia erano
raddoppiate o triplicate di volume.
Sentivo che anche il resto del mio corpo era in quelle condizioni
e mi sentivo come un pallone.
Ero in atroci sofferenze.

Quando la madre superiora venne nel nono giorno e staccò
le corde dalle mie dita, mi stesi al suolo.
Non potevo camminare.
Vi assicuro che mi era impossibile.
Fu così per molto tempo.
Due suore mi trascinarono via.

Una mi prese all'altezza dei piedi, l'altra alle spalle e mi portarono
in infermeria dove mi stesero su una lastra di legno,
dove tagliarono i miei vestiti. E permettetemi di dirvelo subito,
solo Dio sa che cosa passai! Ero coperta di parassiti e sporcizia.
Questa è la vita delle suore di clausura dietro le porte dei conventi dopo essere state ingannate e disilluse;
questa è la vita che vivono e queste sono le cose che sono costrette
a fare.
E vi assicuro che non c'è proprio niente da ridere.

ROUTINE QUOTIDIANA

Ricordo che quando vivevo in convento, la mattina dovevamo
ALZARCI alle 4:30 del mattino Quando la madre superiora
suonava una campana sapevamo che avevamo solo cinque
minuti per vestirci.
Una volta non feci in tempo e fui punita severamente,
e potete immaginare che da allora non sbagliai più per tutti gli anni
che rimasi in convento.

Quando finivamo di vestirci, dovevamo
cominciare a marciare.
Andavamo dalla madre superiore e ogni mattina
lei ci assegnava un compito.
Poteva trattarsi di strofinare, stirare,
lavare o qualche duro lavoro.
Ma durava un'ora, dopodiché ci riunivamo attorno alla tavola,
dove trovavamo la tazza di caffè e una fetta di pane.

Allora, cominciava il duro lavoro.
C'erano, credo, dodici vasche e noi lavavamo usando i vecchi assi. Avevamo vecchi ferri da stiro che si riscaldano sul fornello.
Non sarebbe stato molto difficile se avessimo avuto solo i nostri
vestiti da lavare e stirare, ma i preti portavano grandi pacchi di vestiti, perché li ottengono gratuitamente.

E noi dovevano lavare e stirare prima per loro e poi per noi.
Il lavoro era molto duro e le suore non avevano la forza di farlo perché
non avevano abbastanza cibo da mangiare,
cibo per tenere insieme il corpo, la mente, e l'anima.
Le suore di clausura vivono in questo modo.
Eravamo donne senza patria, intendo esattamente quello che ho detto; donne senza patria. Appartenevamo al Papa.
Tutto ciò che volevano infliggere al mio corpo, potevano farlo.
E per quanto gridassi, non faceva alcuna differenza,
perché nessuno mi avrebbe ascoltata..
Il piano è farci morire lì dentro e seppellirci lì.

Se andate a visitare un convento normale o di clausura,
portate del cibo per le ragazze che sono rinchiuse lì,
ma fate attenzione con chi vi trovate a parlare.
Se ci andate e raggiungete la parte anteriore dell'edificio,
vedrete una campana.
Ecco cosa dovete fare: premete il bottone che c'è lì vicino
e si aprirà una porta.

Vedrete degli scaffali, solitamente tre, dove potrete mettere
il cibo che avete portato per qualcuno che conoscete in quel convento. Magari siete una madre andata a fare visita a sua figlia.
Così, quando quella campana suona,
la madre superiora viene, dietro un grande cancello di ferro nero.
Non puoi andare lì dietro, e ci sono pesanti drappi neri che impediscono
di vedere la madre superiora, però lei ti parlerà attraverso il velo nero. Potresti dirle: "Ho portato dei dolci fatti in casa per mia figlia" e potresti chiedere alla madre superiora di parlare con la giovane suora.
Non potrai vederla, ma potrai parlarle.

La madre superiora chiamerà la ragazza, che verrà ma non potrai vederla. Se chiederai alla ragazza: "Cara, sei felice qui?", la suora risponderà: "Mamma, sono molto felice".

Ti chiederai: "Perché ha detto così?". Tu non sai che la madre superiora sta lì dietro insieme alla ragazza, e quando il genitore se ne va, se la ragazza ha osato dire troppo, allora Dio solo sa cosa le farà la madre superiora.
Così sono obbligate a mentire ai propri genitori. Per esempio,
se le chiederai: "Hai abbastanza da mangiare?",
lei ti risponderà: "Abbiamo cibo in abbondanza".

Sappiate allora che quella mamma andrà a casa sua,
e preparerà un pranzo meraviglioso per il resto della famiglia,
ma se solo potesse vedere dentro il convento e vedere
la nostra tavola e vedere cosa fanno mangiare a sua figlia,
e se potesse guardarla negli occhi dopo che è stata chiusa lì dentro
per quattro anni, vedrebbe solo degli occhi infossati nel cranio.
Vedrebbe il piccolo corpo della ragazza deperito.
Se quel genitore sappesse la verita’ che non riuscirà mai più a mangiare un pranzo a casa sua. Mai più.

Non riusciresti più a goderti un altro pasto se potessi vedere tua figlia dopo essere stata per un certo tempo in convento.
Purtroppo tutte queste cose sono tenute nascoste e così le suore devono accettare ciò che gli danno.

IL LAVORO NELLA LAVANDERIA

La madre superiora e io potevamo essere nella stanza del bucato,
intente a lavare (vi ho detto in che modo lavavamo).
C'era un pavimento in cemento.
E, facendo questo tipo di lavoro, accadeva che dell'acqua finiva
sul pavimento, e magari ci finivamo con i piedi dentro,
e allora veniva la madre superiora; per me vedere la madre
superiora era come vedere un leone affamato lasciato libero.

Ero terrorizzata a morte dI lei. Ogni volta che la vedevo sapevo che qualcuno doveva soffrire. Avevamo paura della sua crudeltà.
Aveva il cuore duro come una pietra.
Quando fissava una di noi, ad esempio me, diceva: "Vieni qua".
E io correvo lì come un fulmine, perché avevo paura.
Lei diceva: "Prostrati a terra e lecca tutte le croci sul pavimento".
Era un pavimento di cemento! Allora dovevo prostrarmi,
fare delle grosse croci leccando quel pavimento.
E lei mi fissava, e se si accorgeva che non mi piaceva quello che stavo facendo, diceva: "Dieci". Oppure: "Venticinque".

Il mattino seguente poteva ritornare, perché aveva visto dalla mia espressione che non ero stata felice di quello che mi aveva fatto fare.
La mia lingua era dolorante e sanguinava, ma lei mi faceva leccare nuovamente il pavimento.
E facevano lo stesso facendoci strisciare.
Ci obbligavano a camminare strisciando, per esempio percorrendo
il corridoio avanti e indietro per dieci volte.

Noi suore non conoscevamo l'amorevole vangelo di Gesù Cristo.
E così dovevamo fare queste cose.
La madre superiora poteva sempre entrare nella nostra cella
[la piccola camera personale di ciascuna suora].
Nella cella, non c'era nient'altro che una statua della Madonna,
con il bambino Gesù in braccio, un crocifisso e un inginocchiatoio.
Vi assicuro che nessuno vorrebbe mai mettersi su un inginocchiatoio come quello.

Era un asse con due zone inclinate dove mettere le ginocchia.
Sull’asse c'erano dei fili affilati.
Poi c'era un altro asse con fili affilati dove stendere le braccia. Nell'inginocchiarmi, pregavo per l'umanità perduta e come mi avevano insegnato credevo che con la mia sofferenza mia nonna sarebbe stata liberata dal purgatorio.
Così a volte restavo più a lungo in ginocchio.
Era terribile.
Non sapevamo come stavano realmente le cose, così lo facevamo
e ci credevamo.

Ed eccoci di nuovo, chiuse nelle nostre celle.
Ogni notte le porte delle nostre stanze venivano chiuse a chiave,
per impedirci di uscire non solo dal convento, ma anche dalle nostre stanze.
A mezzanotte meno sette minuti (noi andavamo a dormire alle 9:30, quando non c'era più luce), due suore aprivano di nuovo le nostre porte
e andavamo nella cappella interna e pregavamo per un'ora per l'umanità perduta. Non dormivamo molto, non ci davano abbastanza cibo,
ci facevano lavorare duramente e ci sottoponevano a terribili sofferenze.

PERDERE LA RELIGIONE

Prima di andare avanti voglio dire che ci era stato insegnato
che versando il sangue (e lo dovevamo fare), fustigarci il corpo, tormentarlo e torturarlo avremmo avuto 100 giorni in meno
da passare in purgatorio.
Avrete capito che non avevamo alcuna speranza.
Le suore non aspettavano niente.
Dopo aver vissuto in un convento per dieci anni,
realizzavamo che la Vergine Maria è solo un pezzo di metallo,
una statua.

Incominciavamo a renderci conto che san Pietro è solo una statua. Incominciavamo a renderci conto che la statua di Gesù è solo
un pezzo di metallo.
In altre parole, al punto di credere che Dio è un dio. morto.
Dopo aver vissuto abbastanza tempo in convento,
dopo aver sofferto a lubngo, dopo esserci gettate ai piedi
di quelle statue e aver versato lacrime su di esse e implorate
di intercedere e portare le nostre preghiere a Dio,
ci rendevamo conto di non ricevere nessuna risposta.
I nostri genitori non avrebbe mai saputo quando saremmo morte.
Chi avrebbe pregato per noi per farci uscire dal purgatorio?
O meglio, chi avrebbe comprato la nostra liberazione dal purgatorio?

Dopo essere state a lungo lì dentron ci eravamo reso conto che
non esiste il purgatorio.
Ovviamente, vois sapete che non esiste, io so che non esiste,
non c'è il purgatorio. L'unico purgatorio che hanno i credenti della chiesa cattolica romana è il portafoglio del prete.
I credenti riempiono i portafogli dei preti in cambio di preghiere
per i defunti.

Due anni fa nel solo mese di novembre migliaia e migliaia
di fedeli della chiesa cattolica romana versarono un totale di 22 milioni
di dollari ai preti perché dicessero messe in suffragio per i loro defunti.
È solo per darvi un'idea di quello che sta accadendo,
e ci sono ancora migliaia di madri che si sfiniscono di lavoro
per raggranellare cinque dollari da dare al prete per dire
una messa per il parente che è in purgatorio,
perché quella madre crede che il purgatorio esiste.

Nel convento hanno un dipinto del purgatorio,
e non c'è altro in quella stanza tranne quel dipinto.
Ogni venerdì dovevamo camminare davanti a quel quadro.
Cosa vedevo? Era come un gran buco profondo con della gente dentro,
e delle fiamme di fuoco avvolgevano il corpo di quelle persone,
che avevano le mani tese in fuori; la madre superiora allora
diceva alle suore:
"Fareste meglio ad andare a fare un altro po' di penitenza.
Quelle persone vogliono uscire da quel fuoco".

E noi facevamo quello che ci dicevano di fare.
Magari andavo in qualche punto del convento e mi ustionavo
gravemente il corpo.
Oppure mi torturavo per versare dell'altro sangue, perché - così credevamo - le nostre sofferenze avrebbero fatto
uscire i defunti dal purgatorio.

Il prete sa bene che il purgatorio è la più grossa frode del mondo.
Sa che non c'è un briciolo di verità in essa.
Dico spesso che se togliete il purgatorio e la messa alla chiesa
cattolica romana le avete tolto nove decimi dei suoi guadagni.
Non potrà andare avanti senza di essi, poiché questa chiesa commercializza e specula, non solo sui vivi, ma sui morti.
E così va sempre più avanti.

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